Hervé Barmasse contro la proposta di chiusura delle montagne: «più facile un divieto che ammettere un fallimento enorme»

Hervé Barmasse
Hervé Barmasse

«Le tragedie scuotono gli animi delle persone, fanno riflettere, creano sconcerto e sgomento e soprattutto molto dolore. Un dolore che rimarrà nei cuori dei familiari delle vittime, indelebile».
Così Hervè Barmasse, alpinista di fama internazionale di Breuil Cervinia, scrittore e divulgatore, ha commentato, con un messaggio sui social, la tragedia sul ghiacciaio della Marmolada, che ha provocato undici vittime e sette feriti, ricevendo, in due giorni, oltre 12mila reazioni, quasi 600 commenti e più di 2.400 condivisioni.

«Invece, per chi è triste spettatore di un evento di tale proporzione e tristezza rimangono dubbi e sconcerto, domande a cui non si trova risposta – ha aggiunto – Soprattutto poca chiarezza. In questi ultimi giorni i commenti e i giudizi su quanto accaduto, e più in genere sulla montagna, si sovrappongono creando confusione. Dalla confusione nascono ipotesi e dalle ipotesi suggestioni, proposte. Tra le più scontate c’è anche la proposta della chiusura incondizionata delle montagne».

«Certo, è molto più semplice emanare un divieto che ammettere un fallimento enorme – ha sottolineato ancora Hervé Barmasse – Quello di chi non ha saputo intervenire quando i primi campanelli di allarme la montagna, la natura, il pianeta li aveva lanciati. Viene più facile dire cosa ci facevano là, che accorgersi che il nostro destino sembra irrimediabilmente compromesso e non per la caduta di quel seracco, ma perché se non ci sarà un crollo, sarà un’alluvione, una siccità, una catastrofe naturale di proporzioni sempre più grandi e sempre più imprevedibili che coinvolgerà tutti».

Intervistato da Giampaolo Visetti della Repubblica, Hervé Barmasse ha ulteriormente spiegato che «I seracchi sono muri di acqua ghiacciata: crollare senza preavviso è il loro destino. Questa evidenza della natura non autorizza però più il rifugio nel fatalismo. La strage in Marmolada chiude un’era dell’alta quota. Apre un tempo nuovo e l’astratto termine sicurezza esce dal vocabolario della montagna. Ognuno deve accettare il concetto di responsabile calcolo del rischio: perché ciò diventi patrimonio comune servono scelte politiche immediate».

«Il surriscaldamento che da mezzo secolo sconvolge l’Himalaya travolge oggi le Alpi – ha proseguito  – Non possiamo chiudere gli occhi e aspettare che la commozione per le vittime in Marmolada fatalmente svanisca. Sta succedendo qualcosa, dobbiamo agire. Il premier Draghi ha chiesto provvedimenti concreti. Alcune azioni possono contribuire a mitigare il rischio che altre Marmolade segnino un’estate già devastata dall’accelerazione del mutamento climatico. La prima sono i bollettini quotidiani sullo stato dei ghiacciai ad alta frequentazione, simili a quelli che in inverno misurano il rischio valanghe. La seconda sono bandiere rosse, segnali luminosi o app d’allarme per avvertire gli escursionisti che accedono in aree ghiacciate sotto stress, se in quel momento si impongono valutazioni straordinarie per l’incolumità personale. La terza è l’attivazione di un Comitato ghiacciai formato da scienziati, Guide alpine, Protezione civile, Governo e amministratori locali, per concordare parametri e soglie dell’allerta».

Sulle richieste di Fondazione Dolomiti Unesco ed Unione dei comuni montani che hanno proposto dalla chiusura all’attività alpinistica sui ghiacciai al “numero chiuso”, Barmasse ha ribadito che «misure generalizzate e non controllabili diventano l’alibi di una sostanziale inazione». «Partiamo con ciò che si può realisticamente fare subito – ha precisato – Se poi in certi giorni un determinato ghiacciaio manifesta condizioni di evidente pericolo, come già avviene in Austria e Svizzera, lo stop temporaneo delle ascese non è un tabù. Dobbiamo comunicare gli elementi per un individuale e consapevole calcolo del rischio. Poi va rallentata la corsa del camion del surriscaldamento climatico, lanciato senza freni verso la curva. Solo dopo uno stop mirato risulta credibile e viene rispettato».

«La tragedia sotto Punta Rocca è sui media di tutto il mondo, ma non sta accelerando intese internazionali contro il cambiamento climatico – ha evidenziato ancora Hervé Barmasse – Gli strumenti per misurare la serialità di temperature eccessive sopra quota 3mila, per registrare i movimenti di ghiacciai e aree occupate dal permafrost, per quantificare la portata dei torrenti ai piedi dei seracchi, ci sono. L’incrocio di tali dati con le previsioni meteo può portare a solidi bollettini dei ghiacciai e a segnali d’allarme degni di essere valutati» da parte di «scienziati, amministratori locali, professionisti della montagna e del soccorso» che «devono affinare il confronto e definire la scala del rischio. I segnali d’allerta ghiacciai possono essere esposti alle partenze degli impianti di risalita, in rifugi e alberghi, negli uffici turistici e delle guide alpine. Queste ultime devono essere il cuore di un aggiornato sistema di protezione collettiva in alta quota».
Le guide alpine, per Barmasse «conoscono e frequentano la montagna ogni giorno. Già oggi ci scambiamo informazioni in tempo reale. Riferirsi alle guide deve diventare un automatismo culturale, come è avvenuto con le previsioni meteo. Le informazioni sono indicazioni, non divieti: più conoscenza porta a scelte più libere».

«Sapere di più fa stare meglio anche in alta quota – ha concluso l’alpinista di Breuil Cervinia – Dobbiamo adeguarci ai radicali mutamenti sulla terra. L’estate e le ore più calde erano il momento più bello per stare su un ghiacciaio. Sono diventate il più critico e non va ignorato. Limitarsi a esporre una bandiera rossa sui ghiacciai sarebbe però auto-assolutorio. Il crollo in Marmolada non dice solo che per i seracchi fa un caldo intollerabile. Dice anche che dallo scorso autunno non piove quasi più e che già in maggio le Alpi erano senza neve. L’allarme dei ghiacciai suona già nella vita di tutti».